Indice Demani

Prefazione
Generalità
Il  Demanio
Monte Lauro: storia e mito
Flora e Fauna: generalità
- La Flora
- La Fauna
- 1 I Mammiferi

- 2 Gli Uccelli
- 3 I Rettili
- 4 Anfibi
- 5 Gasteropodi
- 6 Insetti
- 7 Altre Specie
Buccheri e Monte Lauro
-I Boschi
-"I Marcati e la vicenda   
  demaniale

Schede piante
- il Colchico
- Il Centinodia
- Il Favagello
- Il Geranio selvatico
Scheda botanica
- Le zone fitoclimatiche
Schede Fauna
- La Martora
- Il Gatto selvatico
- Il Riccio europeo
- Il Toporagno comune 
- L'Upupa
- Il Torcicollo
- Il Colombaccio
- Il Rigogolo
 
LA REDAZIONE
 
 

Tratto dal volume
Il Demanio Forestale
Monte Lauro
Azienda Regionale Foreste demaniali

  

BUCCHERI E MONTE LAURO
Storia di intrecci sociali e culturali

I "marcati" e la vicenda demaniale

 

Ma la storia economica e sociale di Buccheri si confonde con le vicende del suo territorio "demaniale". Questo era diviso da antica data in otto "marcati- : Piana soprana, Piana sottana, Alberi, Due Fontane, Roccaro o Frassino, Suvarita, Rizzolo e Pisano. In questi territori l'Università difese alcuni diritti che derivavano dall'essere, forse, in periodo precedente alla infeudazione (1313), patrimonio demaniale. Dal XVI secolo erano iniziate da parte di nobili e borghesi le usurpazioni di diverse tenute, "appoderate" in epoche diverse: tali poderi (clausurae') su cui era permessa una coltura temporanea, erano divenute possesso permanente di ricchi borghesi ed ecclesiastici, possesso permesso dal barone. Per regolare appunto i diritti dei singoli sui diversi "marcati" e impedire tali usurpazioni, l'Università, sotto la guida di valenti amministratori. procedette alla promulgazione delle "Pandette" comunali. Negli otto marcati, da antichissima data, tutti i cittadini esercitavano lo "ius lignandi " diritto di far legna, mentre l'Università (il Comune) vi possedeva lo "ius pascendi " diritto di pascolo. in seguito al quale l'Università' "arrendava", gabellava, i marcati ricavandone rilevanti entrate. utilizzate in gran parte per il pagamento delle "tande" regie, cioè le tasse dovute all'erario statale per donativi ed altro. Ma le usurpazioni avevano nel tempo ridotto le aree comuni, sottraendo le zone più fertili. Molta attenzione fu riservata nelle Pandette ai boschi buccheresi, stabilendosi pene severe contro chi disboscava senza autorizzazione. Nel corso degli anni i boschi si erano ridotti notevolmente: era già scomparso forse il bosco di frassini, nel marcato omonimo. Le Pandette avevano anche l'obiettivo di contrastare le pretese del signore di Buccheri. divenute eccessive in particolare con l'avvento dei Morra. signori esosi e violenti. Come si legge in un documento inoltrato da un anonimo buccherese alla Regia Corte nei primi anni del `600: `In onta della sua trascritta assolutissima sovrana concessione secondo la ex baronale prepotenza di quei tanto barbari tempi (...) misero a soqquadro di tutti i modi eforme la Università nientemeno impegnati quegli ex lege (i Morra) di impadronirsi degli otto exfeudi Marcati predetti e vollevi tutto l'aiuto di Dio a strapparlo dalle loro mani, e i desolati abitanti furono vessatissimi gravati massacrati; tanto che i sindaci, procuratori protettori e sostenitori dei patrii diritti con calunniosi processi perseguitati carcerati sino nelleforze e catacombe di Lentini e trucidati persino in casa propria come un genitore figlio efrate dell'illustre patriottica famiglia dei Mazzone Pietro Andrea Giuseppe, e ben a luogo sul proposito quella terzina: "Vili, impunuti signorotti han piena / di scherani la corte e ucciderfanno / chi sotto lor non curra e resta a schiena ". Il documento continua con toni di inaudita e motivata accusa nei confronti dei signorotti del tempo in particolare contro i responsabili della morte di chi si era con più forza opposto alle vessazioni baronali: Pietro Mazzone. sindaco nel 1612. Questi aveva presentato un'accusa circostanziata e documentata alla Regia Gran Corte contro talune eccessive pretese baronali. Alla quale Geronimo Morra rispose accusando a sua volta il Mazzone di essere un sobillatore e chiedendone la condanna. La vendetta del potente e crudele signore non tardò ad abbattersi contro chi aveva osato difendere il popolo dalle angherie di una famiglia avida di denaro.
L'affitto degli otto marcati (o meglio dello "ius pascendi ", cioè l'erba da pascolare) era dunque una sicura fonte di ricchezza per l'Università, fornendo, come detto, l'occorrente per pagare le "rande" regie. Nel 1715 ad esempio Buccheri ha un patrimonio fondiario di 603 onze l'anno e delle tenui gabelle che rendono 121 onze (pane che si vende in piazza a grana 2 per ogni tarì, carne a grana i per rotolo ecc.); le uscite sono costituite da 359 onze per Lande dei donativi e da 188 onze di spese per l'Università. Si tratta di una condizione ideale di bilancio, poiché consente una pressione fiscale poco gravosa per la popolazione. Si comprende bene l'interesse mostrato dagli amministratori succedutisi nel tempo a difendere il possesso degli antichi marcati contro ogni usurpazione. Restava da pagare come tassa angarica il solo "ius quinterni" o "colta magna"; cioè le tasse che il feudatario incassava sui beni immobili dei cittadini. Nel 1782 con una transazione fra i Giurati e il principe fu data a questo la possibilità di scambiare il suo "ius quinterni. " (cioè la tassa sui beni posseduti dai Buccheresi) con i due marcati di Rizzolo e Frassino, i territori più fertili e produttivi. Si trattò di un errore assai grave. In pratica l'errore fu verificato nel 1812 con l'abolizione del feudalesimo, che tolse ai feudatari la possibilità di riscuotere tasse dai cittadini.
L'«arrendamento» dei marcati era annuale e si faceva in genere per ciascun marcato. Gli affittuari, provenienti dalla schiera dei più grossi borghesi della zona, a sua volta subaffittavano porzioni di terre a contadini. pastori e piccoli imprenditori, che avevano bisogno di pascolare i loro armenti. Tale situazione era certo assai favorevole per il Comune. che non si vedeva costretto ad imposizioni di altre tasse sui beni dei cittadini, oltre a quelle consuete dovute al principe. Ma la situazione fondiaria presto cambiò sotto le pressioni e le usurpazioni dei ceti economicamente più forti. Cosi se agli inizi del `700 l'Università possedeva il 68% dell'intero territorio (3807 ettari su complessivi 5707), mentre i nobili possedevano il 14%, i borghesi il 10%, la chiesa il 6%, già alla fine del '700 la situazione è radicalmente mutata: il Comune possiede appena il 21 % delle terre pari a 1243 ettari, i nobili il 48% pari a 275, i borghesi 1250 ettari pari al 21%, il clero 385 pari al 6%. La situazione cambia ulteriormente agli inizi del `900: le quotizzazioni e le legittimazioni di ulteriori usurpazioni da parte dei privati intaccano ancora il patrimonio comunale. Così ormai il Comune possiede appena 838 ettari cioè al 14%, mentre intatta resta la quota dei nobili e borghesi pari al 48%. Si attua così una preoccupante polverizzazione della proprietà, che inciderà negativamente sullo sviluppo economico futuro.

 
 
 
 

 

 

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