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Le riserve naturali gestite dal
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Serre della Pizzuta

Denominazione
RNO Serre della Pizzuta
Provincia
PA
Comuni
Piana degli Albanesi
Estensione zona A - zona B
414,37 Ha di cui 388,75 in zona A e 25,62 in zona B
Riferimenti geografici
I.G.M. - F. 249 II S.O.; 258 I N.O.
Data Istituzione
D.A. 744 del 10/12/98 (Piano Reg.)


 
Informazioni generali

Si parte da Palermo imboccando lo svincolo Palermo-Sciacca: uscire allo svincolo per Piana degli Albanesi, qui si segue un sentiero che inizia nei pressi della chiesetta della Madonna dell’Odigitria.
Questo percorso si inerpica lungo il versante meridionale della riserva raggiungendo quota 1.144 m s.l.m. in località Portella del Garrone.
Trattandosi di una strada sterrata, sarà conveniente lasciare le automobili al punto di partenza. Se si vuole raggiungere il versante settentrionale, basta seguire lo svincolo Palermo-Sciacca ed imboccare quello per Giacalone, quindi proseguire per Poggio San Francesco.
Due chilometri prima di arrivare al Santuario, si incontra un cancello rosso dal quale si accede ad una carrareccia, che sale verso la montagna e sulla quale bisogna proseguire per 800 m: sino ad arrivare in località Strasatto-Ginestra; parcheggiare nei pressi dell’abbeveratoio Targia.
Seguendo poi la segnaletica del Sentiero Italia, si può raggiungere la riserva anche dalla periferia di Altofonte. Le Serre della Pizzuta sono un sistema di monti esteso dall’altura del Maja e Pelavet (1.279 m) fino a Portella del Pozzillo. La cima più alta è quella della Pizzuta, con 1.333 m s.l.m..
L’origine geologica della Serra risale al Lias inferiore (circa 250 milioni di anni fa) come testimoniano i resti fossili presenti sul monte Kumeta. La natura delle rocce è carbonatica, con prevalenza delle dolomie (carbonato di calcio e magnesio idrato).
Spiccato è il carsismo sia superficiale che sotterraneo, dovuto alla corrosione chimica esercitata dalle acque meteoriche che hanno originato la Grotta dello Zubbione e quella del Garrone. La prima è una cavità molto suggestiva, tra le più belle in Sicilia, con sviluppo verticale: si apre a 1.100 m s.l.m. sul versante orientale della riserva, è sovrapposta ad una faglia ed è costituita da diversi ambienti inclinati in cui si alternano armoniosamente gallerie, pozzetti e grandi saloni. Nella parte terminale presenta degli ambienti ornati da concrezioni calcaree, splendide per forme e colori: fra questi sono la bellissima Sala dell’Obice e la Saletta delle Conche con grandi stalagmiti.
La Grotta del Garrone presenta concrezioni calcaree e due laghetti formatisi per lo stillicidio dell’acqua dalle rocce. Il microclima della grotta ha consentito la sopravvivenza a due diverse specie di felci rarissime per la Sicilia, considerati relitti glaciali dell’epoca wurmiana (che ebbe luogo in un periodo compreso tra 100.000 e 10.000 anni fa.
Il paesaggio della riserva è dominato dagli ambienti rupestri e dagli ampi spazi aperti a prateria o a gariga (arbusteti), a tratti interrotti da boschetti di leccio e roverelle, relitti della copertura boschiva che un tempo ammantava queste zone. Nelle zone più frequentemente soggette ad incendio cresce l’ampelodesma, in siciliano detto disa. Per ultimo: a Portella delle Neviere si riscontra una significativa boscaglia di agrifoglio: anche questo, relitto di epoche antecedenti l’ultima glaciazione (vedi box nella riserva del Bosco di Malabotta).
Grazie al regime di conservazione naturalistica in atto dovrebbe essere possibile, nel tempo, vedere la ricostituzione dell’antico bosco mediterraneo e, contemporaneamente, il ripopolamento faunistico dell’area. A tal fine saranno utilissimi i risultati ottenuti da progetti condotti su ambienti lontani, in particolare nei parchi delle Madonie e dei Nebrodi dove, ad esempio, sono stati reintrodotti gli scomparsi grifoni.
 

Flora

La lingua cervina Felce ha un aspetto inconsueto, con le sue foglie che hanno una lamina a margine intero lunga sino a 50 cm e larga fino ad 8 cm, cordata alla base. Sulla pagina inferiore si trovano i sori, di forma lineare: sono formazioni brunastre, contenenti le spore riproduttive che maturano nel periodo luglio/settembre. Vive in boschi rocciosi e in siti ombreggiati ed umidi.
E’ distribuita sia in Europa che in Asia ed è sottoposta a tutela. In ambito erboristico se ne ricava una droga chiamata erba di lingua cervina che contiene tannini, mucillagini e amminoacidi liberi. In medicina popolare, miscelata ad altre erbe, veniva usata in tisane espettoranti per il trattamento di bronchiti e della tubercolosi polmonare o per disturbi di varia natura all’apparato digerente, alla milza e al fegato. Attualmente, viene impiegata solo in omeopatia.
La Grotta del Garrone presenta concrezioni calcaree e due laghetti formatisi per lo stillicidio dell’acqua dalle rocce. Il microclima della grotta ha consentito la sopravvivenza a due diverse specie di felci rarissime per la Sicilia, considerati relitti glaciali dell’epoca wurmiana (che ebbe luogo in un periodo compreso tra 100.000 e 10.000 anni fa): la lingua cervina e la scolopendria emionitide, quest’ultima bellissima e di grandi dimensioni. Altra presenza botanica significativa è quella del ciombolino siciliano, pianta esclusiva dei nostri territori (endemica), che cresce a ciuffi sui costoni laterali d’ingresso della grotta, pendendo anche per un metro. In entrambe le grotte si rifugia un pipistrello ormai raro in tutt’Italia: il ferro di cavallo maggiore (o rinolofo maggiore).
La Grotta del Garrone (detta anche del Ladrone) è stata anche abitata in epoche antichissime ed è sede di ritrovamenti archeologici. Il paesaggio della riserva è dominato dagli ambienti rupestri e dagli ampi spazi aperti a prateria o a gariga (arbusteti), a tratti interrotti da boschetti di leccio e roverelle, relitti della copertura boschiva che un tempo ammantava queste zone. Sulle pendici della Pizzuta si trovano piccoli lembi relitti di bosco misto, costituito da leccio e dalle specie di roverella che si sono meglio adattati nel corso degli anni ai climi caldi.
Qui troviamo anche l’olmo campestre, l’acero campestre, l’acero minore (tutti gli aceri hanno la peculiarità di essere completamente colonizzati dalle barbette dei licheni frondosi che conferiscono loro un aspetto molto suggestivo) e il frassino, anticamente coltivato per produrre la manna. Nel sottobosco sono presenti gli arbusti tipici del bosco siciliano: biancospino, prugnolo, asparago spinoso, rosa di San Giovanni, ginestra spinosa, gnidio, erica arborea e falso pepe montano.
 

Fauna

L’istrice, grosso roditore dall’aspetto bizzarro, ha testa e collo coperte da lunghe setole, le zampe tozze e grosse, provviste di unghioni forti adatti per scavare. Fianchi e dorso sono ricoperti da lunghi aculei bianchi e neri, dall’aspetto caratteristico e che, mutati periodicamente, lo proteggono dall’attacco di predatori. Quando si sente minacciato, li solleva assumendo un aspetto “orrifico”.
Emette soffi e grugniti e produce una sorta di secco crepitio simile al suono di nacchere, facendo vibrare la coda che è provvista di strani aculei a forma d’imbuto aperto verso l’alto, mettendo così in fuga il malintenzionato, anche a costo di prendere la rincorsa all’indietro per infilzarlo. Vive in tane scavate sul terreno tra rocce e ceppi d’albero, provviste di cunicoli con più aperture.
Di giorno sonnecchia ed esce solo di notte alla ricerca del cibo (frutta, germogli, cortecce d’albero, radici e tuberi). Preferisce le boscaglie aperte, in zone cespugliate ma si trova anche in aree coltivate. E’ presente solo in Italia (Sardegna esclusa), nelle regioni calde e assolate ed è abbastanza comune. Nonostante i rigorosi divieti viene cacciato per la prelibatezza delle sue carni.
Il bosco ricco e luminoso ospita una fauna varia e composita: la volpe, ubiquitaria ed adattabilissima, e l’elusivo gatto selvatico. Martora e donnola, fra i più voraci predatori, e poi tutti gli uccelletti di selva: le attivissime cinciarelle e cinciallegre, i rampichini, i passeriformi insettivori che snidano le prede tra gli anfratti delle cortecce degli alberi, le ghiandaie (corvidi dalla bellissima livrea), il melodioso usignolo e i piccoli roditori del bosco.
Sulle aree aperte si trovano gheppi in sospensione ad ali aperte, pronti a cacciare piccoli mammiferi, e insetti come il raro panfago marmorizzato, grossa cavalletta endemica di colore verde-giallastro che ha le ali fortemente ridotte. Tra i rettili sono comuni la lucertola campestre e la sicula, il ramarro e lo scinco (Tiru in siciliano), il gongilo e la luscengola. Sono frequenti anche i serpenti più comuni dell’erpetofauna isolana: il biacco, la vipera e il saettone (o colubro d’Esculapio).
Il bosco ricco e luminoso ospita una fauna varia e composita: la volpe, ubiquitaria ed adattabilissima, e l’elusivo gatto selvatico.
Martora e donnola, fra i più voraci predatori, e poi tutti gli uccelletti di selva: le attivissime cinciarelle e cinciallegre, i rampichini, i passeriformi insettivori che snidano le prede tra gli anfratti delle cortecce degli alberi, le ghiandaie (corvidi dalla bellissima livrea), il melodioso usignolo e i piccoli roditori del bosco.
L’ambiente rupestre è certamente il più interessante: sono scomparsi da decenni gli avvoltoi come i grifoni e i capovaccai. L’habitat apparentemente inospitale delle rupi si trova immerso in un clima favorevole, nel quale la piovosità relativamente elevata e le abbondanti precipitazioni occulte (cioè rugiada, nebbia e brina) consentono l’insediamento di molte piante erbacee endemiche, a partire dai 1.000 m d’altitudine.
Fra queste spiccano la Viola calcarata nella sua variante lutea (dai petali chiari), il fiordaliso della Busambra, la camomilla delle Madonie, la Silene fruticosa e il garofano mediterraneo dai petali rosa, tanto per citarne alcune. Questo è l’habitat di e si sposta fin qui a cacciare, ma anche la rara aquila di Bonelli e la più comune poiana. Sulle aree aperte si trovano gheppi in sospensione ad ali aperte, pronti a cacciare piccoli mammiferi, e insetti come il raro panfago marmorizzato, grossa cavalletta endemica di colore verde-giallastro che ha le ali fortemente ridotte.
Tra i rettili sono comuni la lucertola campestre e la sicula, il ramarro e lo scinco (Tiru in siciliano), il gongilo e la luscengola. Sono frequenti anche i serpenti più comuni dell’erpetofauna isolana: il biacco, la vipera e il saettone (o colubro d’Esculapio). Una nota ecologica curiosa: nelle boscaglie aperte, nella gariga o nella prateria vive il più grosso roditore presente in Sicilia, l’istrice. Normalmente è in regressione in tutto il territorio, mentre in quest’area è presente con un popolamento significativo.
 

La Storia, Il Paesaggio e l'Uomo

Le neviere
Si racconta che già gli Arabi utilizzassero buche scavate nella montagna per conservare la neve, che avrebbero utilizzato nella preparazione di profumati sorbetti per placare l’arsura delle torride giornate estive.
Quest’attività, estinta con l’avvento dell’elettricità, del gas e dei frigoriferi, contribuiva ad integrare il reddito dei contadini nei periodi più magri.
In alcune zone erano organizzate vere e proprie imprese del ghiaccio da “borgheggiani”, che in estate trascorrevano più giorni sul luogo dove procedevano alle operazioni di taglio del ghiaccio in blocchi che poi, dentro sacchi di iuta, trasportavano a dorso di mulo fino in città.
Sulle Serre della Pizzuta, fino agli inizi del ‘900, i contadini, nei mesi più rigidi, lavoravano nelle neviere (sul versante occidentale della montagna), che erano di proprietà del comune di Palermo. La neve veniva raccolta in buche coniche, pigiata, coperta da un letto di paglia su cui veniva compressa altra neve e così via via, fino all’orlo. Le balle di neve, avvolte nella paglia coibentante, venivano caricate sui muli e trasportate di notte fino in città. I percorsi delle neviere erano contrassegnati da edicolette votive, dedicate alla Madonna della Neve. Portella della Ginestra
Ogni 1° di maggio, a Portella della Ginestra, si ricorda la strage avvenuta nel 1947. In Sicilia c’erano grossi fermenti e un movimento contadino che era riuscito a riscattare un passato di sofferenze lungo secoli, ottenendo il diritto di occupare le terre incolte e di averle in concessione, sostenuto dalle forze politiche popolari che avevano vinto nelle ultime elezioni per l’Assemblea Regionale.
Questa nuova situazione aveva creato squilibrio e grosso allarme nelle frange più conservatrici dei proprietari terrieri che fino a quel momento avevano spadroneggiato.
Per riprendere in pugno la situazione, avevano fatto ricorso ad ogni mezzo anche illegale ed avevano utilizzato il banditismo separatista per intimidire sindacalisti e avversari politici. Per ricordare l’avvenimento dei Fasci Siciliani (1893), circa duemila tra uomini, donne, bambini e anziani, in massa si erano recati a Portella, dove un’amara sorpresa li attendeva: appena il primo oratore aveva cominciato a parlare, il bandito Giuliano, assoldato dalla mafia feudale, con la sua banda iniziò a sparare all’impazzata sui manifestanti, uccidendo undici persone e ferendone più di cinquanta.
La notizia sconvolse l’opinione pubblica, la CGIL proclamò lo sciopero generale, ma il governo evitò di portare a fondo le indagini, dato che i carabinieri avevano indicato una connivenza tra politici e mafiosi. Unico responsabile dell’eccidio venne ritenuto Giuliano che tre anni dopo fu eliminato dal cognato, Gaspare Pisciotta, a sua volta avvelenato in carcere, nel ’54, dopo aver dichiarato che voleva fare importanti rivelazioni sulla strage.
 

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